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lunedì 20 febbraio 2017

L'attesa antica


- Un racconto di Annalisa Ferri -



Un vento carico di pioggia si alzava mentre i corvi tornavano nella pineta dalla valle. Dopo giorni di sole l'inverno era tornato con le valigie piene di grigio e di aria fredda. Alla fine della vallata ancora marrone, nascosto tra i rami spogli degli alberi, il vecchio casolare ormai abbandonato ospitava il cuculo, rientrato sotto il tetto prima del solito. Quella struttura silenziosa e solitaria ospitava l'uccello da anni ormai, da quando dalla sua nidiata, in un giorno caldo e profumato di aprile, tutti erano volati via, tranne lui. Non aveva spiegato le ali verso il lago salmastro, ma aveva scelto quel luogo segreto e romito per trascorrere la sua vita.



 Un luogo tranquillo, carico di profumi e sfumature di colori in cui l'uomo non viveva più, se non di passaggio, in cui le stagioni avevano ancora il ritmo lento e vero dei lavori di campagna. Dall'alto della piccola finestra ad arco, da cui un tempo lontano erano esposti vasi di rubini gerani, vedeva il sole scender dietro le montagne tra voli di libellule e farfalle. Lo vedeva trascinarsi stanco nella valle e poi seguiva le ombre ed il buio distendere le lenzuola sulla pineta. Vedeva in estate fiorire i papaveri tra grandi distese di grano in cui si nascondevano a suonare le cavallette fino al momento della mietitura. Nel silenzio della notte saliva al cielo l'intenso odore di fieno tagliato ed il canto dei grilli, mentre da luoghi nascosti e segreti uscivano le lucciole.



Danzavano tutta la notte, illuminando i discorsi da innamorati delle colombe sotto il campanile, cercando l'anima gemella alla solitaria civetta, saltando sui petali delicati del gelsomino fiorito. Ogni anno seguiva dalla finestra che profumava in estate di erba rinata quella vita che fuori dalle mura antiche da anni si ripeteva stanca, quelle novità che per lui erano consuetudine e sicurezza.
Il cuculo conosceva a memoria ormai i tempi della valle e ne prevedeva i cambiamenti: aveva ormai imparato in quale albero selvatico sbocciasse il primo fiore, quale ragno tessesse per primo la tela in primavera, quale nido di rondine venisse occupato per primo dopo la sera di San Benedetto.



Riconosceva il muoversi lento delle macchine agricole tornare a casa dopo lunghe giornate di lavoro, assaporava il profumo della pioggia che stava per arrivare. Ed in quella sera restò muto, mentre il vento trasportava la pesantezza del temporale caduto nelle terre vicine attendendo che le gocce giungessero su quei prati. Si posizionava a volte accanto al vecchio lucernaio, un tempo acceso nelle sere in cui la luce della luna mancava, e silenzioso attendeva paziente ma con gli occhi ormai vecchi e stanchi. Amava poi stare attento nelle notti gentili di luna piena, in cui l'argento mostrava i dettagli della valle e dei piccoli monti: restava sveglio tutta la notte ad attendere che l'alba ridefinisse i confini sicuro del mondo, forse nella speranza che qualcuno dei fratelli tornasse a cercarlo, che una coppia di fidanzati a vederlo, che un grillo smarrito si fermasse a tenergli compagnia.



Così, ogni anno, nelle sere fresche di maggio, paziente cantava acutamente, attento a riconoscere nuovi odori vicini e suoni lontani, ed era solito diffondere nella valle il suo canto nostalgico; cercava forse qualcuno che lo trovasse a cui rivolgere finalmente il suo sorpreso" cucú".



- Annalisa Ferri -



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