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giovedì 2 giugno 2022

La Bandiera

 (Daniela - Luna Nera)




 

( Immagine da Pinterest ) 

 

martedì 10 agosto 2021

L' estate

 (Daniela - Luna Nera)



(da Pinterest)



giovedì 1 aprile 2021

Pasqua

(Daniela - Luna Nera)



Un odore di viole
l’aria ci porta in dono,
lassù fiorisce il sole
per tutti: oh, com’è buono!
Il mandorlo è gremito
il pesco non decide
di farsi un bel vestito
aspetta e intanto ride…
Un bambino già muove
sull’aia il primo passo,
il sole scherza e piove
nel ruscello, più in basso…
Una bambina bionda
si guarda le scarpine,
una cincia gioconda
prova le canzoncine.
La chioccia già ammaestrata
la sua piccola schiera,
spalanca una finestra
in ciel la primavera;
un angelo si sporge
e guarda e si compiace,
dice: – Gesù risorge,
agli uomini sia pace! –

- L. Nason -


mercoledì 10 febbraio 2021

Filastrocca dei mesi

 (Daniela - Luna Nera)


Dice Gennaio: “Chiudete quell’uscio!”.
Dice Febbraio: “Io sto nel mio guscio”.
Marzo apre un occhio e inventa i colori!
Aprile copre ogni prato di fiori!
Maggio ci porge la rosa più bella!
Giugno ha nel pugno una spiga e una stella!
Luglio si beve il ruscello d’un fiato!
Sonnecchia Agosto all’ombra sdraiato!
Settembre morde le uve violette!
Più saggio Ottobre nel tino le mette!
Novembre fa d’ogni sterpo fascina!
Verso il presepe Dicembre cammina!

- Renzo Pezzani -




Immagine tratta dal libro: “Fraternità: corso di letture per le scuole elementari, classe terza” di Bruna Bai, Giovanni Cerri, Sarti Maria Felicori (Milano, Signorelli, 1949)

mercoledì 27 gennaio 2021

Che cosa c'è?

 (Daniela - Luna Nera)



*******************

Sul paesetto bianco bianco
scende la notte scura scura;
ma il cuor piccino non ha paura,
anzi è preso in un dolce incanto.

Cosa c’è, che lenta si leva,
per il cielo vasto e solo?
C’è una luna di rosa e d’oro
che sembra un fiore di primavera.

Che cosa c’è nell’aria quieta,
come un pianto grave e soave?
C’è la campana che prega l’Ave
e accarezza ogni pena segreta.




- dal web -

martedì 22 dicembre 2020

L' uccellino azzurro

 (Daniela - Luna Nera) 




È la notte della vigilia di Natale.
Tyltyl sveglia la sorellina Mytyl per annunciarle che a loro non arriveranno regali. Occorre essere pazienti e aspettare l’anno prossimo.
Mytyl è preoccupata e si domanda quanto tempo passi prima del prossimo Natale. Questi non sono certo problemi con cui hanno a che fare i bambini che abitano nella casa di fronte.



 Loro non sono poveri e hanno sempre giocattoli e cibo, possono persino mangiare tutti i giorni. Ecco che i due fratellini si affacciano alla finestra per sbirciare i festeggiamenti della casa di fronte. Luci, musica, tavole colme di dolci, regali e balli. Ci vuole poco a immaginare di avere le mani piene di dolci, basta crederci per sentirne il sapore. Ma chi c’è ora nell’angusta cameretta? Una vecchia con un occhio cieco. E che vuole? Vuole che i bimbi vadano a cercare l’uccellino azzurro, ne ha bisogno per sua figlia che si è ammalata di infelicità. Tyltyl è spaventato, la vecchia dice di essere Fata Beryluna, ma è brutta e sgarbata e poi come potranno loro due uscire dalla stanza senza farsi notare dai genitori? La Fata stizzita tira fuori un berrettino verde con un diamante in cima, basta che Tyltyl lo indossi e giri il diamante per riuscire a fare un sacco di cose: potrà vedere il Passato e l’Avvenire, potrà vedere l’anima delle cose e persino visitare i fratellini e le sorelline morte quando andrà alla ricerca dell’uccellino a arriverà al Paese del Ricordo. Un attimo di esitazione e il bimbo lo indossa, gira il grosso diamante ed ecco che tutto cambia. La Fata ora è bellissima e giovane, con lunghi capelli biondi, le pareti della cameretta luccicano, le pagnotte rotolano fuori dalla madia come tanti omini panciuti con la camicia color crosta croccante, il fuoco balza dal camino ed è un uomo in giacca rossa, dalla brocca del latte emerge una donna tremante. Persino il cane e la gatta diventano persone. Tutto si anima, ma ecco un rumore improvviso. È il papà che sta per entrare! Presto, Tyltyl rigira il diamante per mettere tutto a posto, ma non tutte le creature tornano come prima, alcune non fanno in tempo e queste dovranno accompagnare i bambini nel loro lungo viaggio…






- Maurice Maeterlinck -

( da 
http://www.mangialibri.com/ )


martedì 3 novembre 2020

Indovinello...

(Daniela - Luna Nera)





Son piccina e rotondetta,
son dolcina e son moretta,
son di razza montagnina
dell’inverno son regina;
son dei bimbi la cuccagna
e mi chiamo la…
CASTAGNA!


( Anonimo )

domenica 1 novembre 2020

"Il giorno che i morti persero la strada di casa" di A. Camilleri

(Daniela - Luna Nera)



Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.


- da “Racconti quotidiani” di Andrea Camilleri -

( Immagine di Alexander Jansson )

martedì 26 maggio 2020

Riflessioni....

(Daniela - Luna Nera)




Non eravamo abbastanza eruditi
sul senso della vita,
sul valore delle persone
e delle cose che ci circondavano,
di quanto contasse la speranza e
di quanto potesse farci vedere la luce.
Di quanto fosse atroce la sofferenza,
di quanto ci facesse tribolare la mancanza.
Vivevamo come tutto ci fosse dovuto
e niente in realtà fosse veramente apprezzato.

Adesso faremmo chissà che
per un abbraccio dei nostri cari,
per una camminata in un prato
o una gita al mare.
Anche una stretta di mano
o una lieve carezza ci farebbe felici.
Eravamo ricchi, tanto ricchi...
non lo sapevamo.


- Raffaella Abategiovanni -

martedì 24 marzo 2020

TI ABBRACCERÒ

(Daniela - Luna Nera)

In questo brutto periodo di pandemìa che stiamo attraversando nessuna poesia è più indicata. 



Ti abbraccerò con gli occhi e col pensiero
e sarà un gesto di amore vero,
ti bacerò con lo sguardo soltanto
e sarà un bacio come ti avessi accanto,
ti abbraccerò col mio più bel sorriso
e sarà come stare viso a viso.
Ti stringerò con una telefonata,
e sarà come un abbraccio
per tutta la durata.
Farò così in questi strani giorni
sperando che il bel tempo poi ritorni,
allora quando tutto sarà passato,
ti abbraccerò come non ti avevo mai abbracciato.


- Germana Bruno © -


sabato 29 febbraio 2020

" Sbilfs", i folletti della Carnia

(Daniela - Luna Nera)

Sei mai stato a spasso nei boschi friulani? Hai mai sentito una risata alle tue spalle, senza sapere di chi fosse? Probabilmente era uno Sbilf che ti accompagnava lungo la tua passeggiata!




Gli Sbilfs sono protagonisti di molte leggende della Carnia. Si narra siano folletti dei boschi, ma definiti da alcuni gnomi, da alcuni troll, da me semplicemente creature magiche!
Gli esperti di tradizioni sono i nonni, che continuano il loro compito, fondamentale, di tramandare le antiche magie friulane e di raccontarle a noi al posto delle favole.

Completamente mimetizzati, vivono nel sottobosco ma in taluni casi anche vicino all'uomo, in stalle e fienili.
Il loro rifugio prediletto rimane il bosco ed in particolare la cavità di un albero. Sono di piccole dimensioni, intelligenti, inafferrabili e spesso anche burloni, ma nello stesso tempo pronti ad aiutare chi nei boschi si trova in difficoltà. Gli Sbilfs sono eternamente fanciulli, amanti dei giochi, della danza, della musica. Hanno un carattere fortemente mutevole. In genere non sono cattivi. Agiscono, tuttavia, secondo la tipica incoscienza dei bambini.






Generalmente gli Sbilfs sono invisibili, ma possono manifestarsi ad alcuni e rimanere invisibili ad altri.
Sono quindi molto difficili da incontrare e da vedere, cosa che sembra essere più facile ai bambini e ai buoni di cuore.



Amano il rosso, tanto che in molti vestono con abiti di questo colore e sono ghiottissimi di Zûf (una preparazione di latte e farina di mais che si usava un tempo per servire la colazione).

Assumono nomi differenti a seconda della zona o più spesso della loro "umore". C'è così il Licj intento ad annodare corde e fili che trova nelle abitazioni o il Brau che ama scucire vestiti e tende.
Il Bagan, folletto della stalla, che se infastidito rovescerà i secchi colmi di latte e nasconderà gli attrezzi di lavoro.
Il Maçarot, abilissimo a fare dispetti. Questo, anticipa la burla con un sibilo, quindi conclusa la beffa si dimena in una stridula risata.
Il Massaroul che pur indossando una calzamaglia rossa, non sopporta questa colore.

A Forni di Sopra, il Maçarot è spesso accompagnato da sua moglie, Ridùsela, anch’essa intenta a combinare bricconerie.
A Gemona si trova, invece, il Pamarindo sempre intento a bloccare il passaggio allargandosi a dismisura. Vi è poi il Boborosso, tra i più cattivi, assorto a provocare gli incubi notturni ai bambini.

La zona di Paularo sarebbe invece abitata dai Guriùz. Questi, particolarmente burloni e golosi, sarebbero spesso intenti a sottrarre dolci e squisitezze dalle cucine. Una leggenda parla, tuttavia, della loro estinzione. I Guriùz avrebbero costruito un castello per metà interrato nel quale nascondevano un enorme tesoro. Assaltati da un esercito straniero furono tutti uccisi. Il nascondiglio non fu mai rilevato ed il tesoro mai trovato.


Sentiero degli Sbilf a Ravascletto.




Gli Sbilfs, protagonisti di racconti fantastici, sono la rappresentazione del rispetto che avevano i nostri antenati nei confronti della Natura.
Un profondo rispetto che suggeriva di non tagliare mai un albero senza motivo.



(dal web)

- Potete trovare gli Sbilfs a questo link;
https://www.icsedegliano.it/sezioni/studenti/1516/Friulano/01Sbilfs.html -

giovedì 27 febbraio 2020

I mesi dell'anno


(Daniela - Luna Nera)





(immagine modificata e ripulita, da Pinterest)


mercoledì 26 febbraio 2020

Calendario


(Daniela - Luna Nera)




- Tratta da: Fantasia – Letture Classe 2° – E. Dente – Fratelli Fabbri Editori (1956) -

(immagine modificata)

martedì 25 febbraio 2020

Benvenuto Carnevale!


(Daniela - Luna Nera)




(immagine da Pinterest)

giovedì 20 febbraio 2020

Meo Patacca

(Daniela - Luna Nera)



Meo Patacca: storia e origini della maschera romana.

Meo Patacca è la maschera che nella Commedia dell’Arte rappresenta, insieme a Rugantino, la città di Roma. Originario di Trastevere, noto quartiere romano, è spiritoso e impertinente, ma buono di cuore. Vuole sempre avere ragione, è spavaldo e coraggioso e spesso usa il bastone.

Meo Patacca è un vero attaccabrighe, cerca di provocare risse e tafferugli, ma lo fa con simpatia e non si tira mai indietro.

Indossa un panciotto allacciato di lato, con una fascia in vita, un fazzoletto legato al collo, in testa un berretto o una retina calzati all’indietro. I pantaloni sono stretti al ginocchio e le scarpe hanno fibbie di acciaio. Meo Patacca viene raffigurato spesso con un fiasco di vino, intento a bere.



Curiosità su Meo Patacca.

Il nome Meo Patacca deriva dal soldo che costituiva la paga del soldato, la “patacca”. La prima volta che fa la sua comparsa è infatti nel 600′ in un poema di Giuseppe Berneri, dove impersona un soldato, sempre pronto a battersi.

(Testo di Ilaria Pavetto)

- da: https://www.filastrocche.it/ -


mercoledì 19 febbraio 2020

Storiella di Carnevale

(Daniela - Luna Nera)


Pulcinella aveva un giaccone
grosso, pesante, di lana arancione;
un giorno che fuori tirava vento
se ne andò in giro felice e contento,
ma dopo avere un po’ camminato
già si sentiva tutto sudato.

Arlecchino aveva un cappotto
mezzo bucato e mezzo rotto;
un giorno che fuori soffiavano i venti
tremava, tossiva, batteva i denti.

Disse Arlecchino: “Caro compare
i nostri indumenti potremmo scambiare!”.
Lieto è il finale di questa storiella
per Arlecchino, per Pulcinella:
nessuno più suda né batte i denti
e vissero tutti felici e contenti.


- Maria Loretta Giraldo -


lunedì 10 febbraio 2020

Il cane delle Fiandre ad Anversa, Belgio.


(Daniela -  Luna Nera)

Passeggiando per le strade di Anversa forse non avete mai sentito parlare di un giovane ragazzo, Nello e del suo cane Patrasche.
E' una storia molto famosa in Giappone, ma in Belgio quasi nessuno ne è a conoscenza. Ma anche passeggiando per Anversa, ci sono alcuni ricordi della storia. Potrebbe essere interessante andare a visitare i luoghi accanto a tutte le attrazioni turistiche usuali.
Passeggiando per le strade del Belgio potreste imbattervi in una curiosa scultura che sembra fuoriuscire dal selciato, un omaggio dell’artista Batist Vermeulen, noto come “Tist“, al romanzo del 1872 “A dog of Flanders“.




Il libro divenne famoso soprattutto in Giappone, ispirando un celebre anime prodotto dalla Tokyo Movie Shinsha nel 1992, e solo successivamente ottenne popolarità nelle Fiandre.

Protagonisti sono l’orfano Nello e il suo affezionato cane Patrasche, stretti in un dolce abbraccio mentre dormono con aria serena, proprio lì, sulla strada di Anversa, sotto il campanile della Cattedrale di Nostra Signora, con il selciato che fa da coperta.





Libro del 1926






La scultura è stata inaugurata a dicembre 2016 e da allora ha conquistato molta popolarità in tutto il mondo, anche perché oltre a essere bellissima, la storia cui è ispirata è davvero strappalacrime.




A dog of Flanders: il racconto da cui trae ispirazione la statua.



Il cane delle Fiandre (A Dog of Flanders) è un racconto del 1872 scritto da Marie Louise Ramée, famosa con lo pseudonimo Ouida. La trama ruota intorno alla storia di Nello, un orfano, e del suo vecchio cane, Patrasche, ed è ambientata nei pressi di Anversa.

Nello vive con il nonno che, per mantenerlo, vende latte. Un giorno si imbatte in un bellissimo cane ferito, se ne prende cura e decide di tenerlo con sé chiamandolo Patrasche. Da quel momento il cane entra nelle loro vite dimostrandosi amorevole e fedele.


Nel frattempo il ragazzino porta avanti la sua passione per la pittura, per la quale è molto portato. Decide così di partecipare a una gara di disegno nella speranza di guadagnare qualche soldo e poter vedere dal vivo, finalmente, le opere del grande Rubens esposte nella Cattedrale, inaccessibili se non a pagamento. Purtroppo viene battuto da un ragazzo meno talentuoso ma più in vista.


La sfortuna lo perseguita e un giorno suo nonno muore in un incidente, così è costretto a rifugiarsi nella cattedrale di Anversa, dopo aver perso la casa.
Qui, finalmente, può ammirare il suo amato Rubens.
Ma il mattino seguente viene ritrovato morto di freddo, insieme a Patrasche.

Ecco perché questa scultura è nata proprio davanti alla Cattedrale di Nostra Signora, per consentire a Nello e Patrasche di riposare eternamente davanti alle opere dell’amato Rubens. Per sempre uniti dal loro legame indissolubile.

La Cattedrale




Il luogo più importante della storia potrebbe essere la cattedrale di Anversa. Questo è il luogo dove Nello vuole davvero entrare per vedere i famosi dipinti di Rubens. Non ha i soldi per pagare la tassa d'iscrizione e quindi non è in grado di vederli. Il tempo passa e la vita non è gentile con Nello e Patrasche. Dopo la morte del padre la sua vita va ancora più in discesa. Alla fine Nello riesce a intrufolarsi nella cattedrale e muore davanti al dipinto Rubens, accanto al suo fedele Amico Patrasche.

Si tratta di una vetrata della Cattedrale che li ritrae entrambi.
Con la frase "Patrasche era l'unico amico di Nerone" scritta accanto ad essa. La cattedrale stessa è anche un posto molto bello.
Merita certamente una visita quando si visita Anversa. Il dipinto mostrato nel film è "l'elevazione della croce" e si può visitare una volta che hai pagato il biglietto d'ingresso alla cattedrale.



Hoboken

A Hoboken, parte di Anversa, si trova questa statua dedicata a Nello e Patrasche. Questo è il luogo dove hanno vissuto insieme al padre nella storia. In quel periodo i cani erano ancora utilizzati per portare pesi e spingere i carrelli. Anche in altri luoghi di Anversa si possono vedere statue e riferimenti a queste due cose.











(testo e immagini dal web)


Su Youtube trovate tutti i 26 episodi del cartone animato in italiano dal titolo: "Il mio amico Patrasche".