Questa è una storia vera, anche se sono stati inseriti elementi fiabeschi.
Ai piedi della Serra, un rilievo morenico di origine glaciale, c'è una casa in mattoni, con un balcone che si affaccia su uno spazio verde, un po' orto e un po' giardino.
In autunno le foglie degli alberi diventano marroni, i fiori seccano, poi pian piano il freddo avvolge ogni cosa in un dolce e profondo silenzio. Quando il vento soffia tra i rami e i fiocchi di neve scendono turbinando, il giardino sembra rabbrividire sotto il gelo.
L'allegria torna ai primi tepori, quando ai colori cupi della fredda stagione si sostituiscono le mille sfumature cromatiche della primavera, quando le lucertole escono timidamente a godere dei tiepidi raggi del sole e si incomincia a sentire il canto degli uccelli.
In estate poi il giardino, specialmente al mattino, dà una sensazione di pace indescrivibile. Nell'aria si diffondono inebrianti profumi, alcuni tenui altri più acri e poco lontano, come una melodia, si sente il frinire delle cicale...
Il giardino è magico perchè nei tronchi, tra le radici, nei nidi abbandonati abitano piccoli animali, fate e gnomi che, durante le calde giornate, giocano a palla con le bacche del ribes, rincorrono le farfalle e si fanno trasportare da una parte all'altra dalle libellule.
Intorno fioriscono rose, gelsomini, calendule, gigli e tanti altri fiori che emanavano profumi inconfondibili.
Ogni gnomo ha un cappellino di colore diverso, confezionato con petali di fiori che non appassiscono mai. Anche i vestiti delle fate sono fatti di petali e hanno i colori dell'arcobaleno. Le fate raccolgono le calendule, la camonilla, la melissa, la mentuccia ed altre erbe aromatiche per fare deliziosi sciroppi e delicate tisane che scalderanno il cuore nelle lunghe e fredde serate d'inverno.
Di fianco al giardino c'è un pero; i suoi frutti sono molto piccoli ma dolcissimi. Quando le pere sono mature, le fate e gli gnomi si nascondono nei cespugli dei lamponi per guardare due ricci che a braccetto vengono a far cena.
Alla sera gli abitanti del giardino si riuniscono sotto il fico e si raccontano come hanno trascorso la giornata.
Sono felici di trovarsi in in luogo così tranquillo, ma un pensiero li tormenta: sanno che nei boschi c'è un piccolo gnomo di nome Florindo che è sempre triste, ma ancora non sanno che…....
Florindo, insieme ad altri gnomi abitava nel tronco di un castagno, un buco di cinque o sei spanne, per cui si stava troppo stretti; sovente ci si spintonava e poi si faceva il broncio.
Florindo e i suoi compagni lavoravano in una miniera dall'alba al tramonto, sperando di trovare oro e gemme preziose.
Le gallerie erano lunghe ma molto piccole e si stava accucciati o seduti. Alcuni di loro, molto avidi, lavoravano tante ore nell'oscuro grembo delle montagne senza mai fare una pausa.
L'oro lo sminuzzavano e lo portavano alle fate, in cambio di marmellata di more e di mirtilli di cui erano particolarmente ghiotti. Con quell'oro le fate ricamavano i vestiti e con le briciole avanzate preparavano la polverina magica che serviva per farle volare.
Florindo era diverso dagli altri gnomi: era timido, bonaccione e quando era chiuso in miniera si sentiva male. La mancanza d'aria, il buio, lo stretto delle gallerie e la polvere, lo facevano soffocare così ogni volta si doveva interrompere il lavoro, soccorrerlo e portarlo fuori per riprendersi.
Qualcuno lo consolava ma i più dicevano che erano solo scuse per non lavorare e far perdere tempo.
Florindo si sentiva umiliato, sempre più a disagio, sapeva di essere un peso.
"E’ veramente triste la mia vita! Non ce la faccio più, devo trovare una soluzione." disse ad un amico.
Così un mattino, raccolte in un sacco le sue cose e imbracciato il piccone, salutò tutti e si avviò verso l'ignoto.
Camminò a lungo senza una meta lungo i sentieri nascosti dai vecchi rami, e quando arrivò ad un ruscello si dissetò e poi si tuffò nell'acqua e fece tante capriole non pensando al proprio destino.
L'acqua fresca sembrò fargli dimenticare tutte le pene. Seduto sulla sponda incominciò a pensare. "E adesso cosa faccio? Che strada prendo? Chi potrà aiutarmi?"
Tante idee, diverse, confuse.
Alla fine decise di seguire il corso del ruscello e di scendere a valle. Lungo il cammino trovò un laghetto con l'acqua azzurra come il cielo, tutto intorno prati, boschi di betulle e castagni. Quel posto era ancora più bello di quello spesso sognato. C'era tutto ciò che desiderava.
E con le cicorie e le erbe selvatiche raccolte nei prati avrebbe cucinato buone zuppe. Il bosco poi gli avrebbe fornito fragole, mirtilli, funghi, bacche e lamponi. E le fate amiche sarebbero venute in suo aiuto.
Come nel cielo apparvero le stelle, andò a dormire con tanta gioia in cuore pensando che finalmente la vita gli avrebbe riservato un po' di pace. Nella notte però non riuscì a dormire: sentiva troppo vicino il bubulare del gufo e gli strani versi degli animali notturni.
Al mattino, con sorpresa e tanta paura, vide intorno alla capanna le impronte degli animali selvatici che nella notte erano passati a curiosare.
Florindo che non era abituato a star solo si spaventò e decise che anche quella non poteva diventare la sua fissa dimora, così decise di riprendere il cammino seguendo ancora il ruscello.
Lungo il ruscello incontrò un cucciolo di volpe. Florindo si stupì che in quel posto ci fossero famiglie di volpi così chiese: "Come mai sei qui? Credevo che tu abitassi da altre parti."
"La mia storia è lunga, ora te la racconto.", rispose il volpacchiotto.
"Circa un mese fa io e la mia mamma eravamo scesi dai monti di non so più dove, in cerca di cibo. Io bevevo ancora un po' di latte, ma la mamma aveva bisogno di cose sostanziose e a me dava dei piccoli bocconi perché imparassi di cosa cibarmi. Nel bosco non si trovava nulla, così scendemmo in pianura, dove c'era una strada larga larga e lunga a non finire. Passavano tanti "cosi" che correvano, avevano le luci che abbagliavano. Ad un tratto, mentre attraversavamo per raggiungere un prato, uno di quei "cosi" mi colpì ad una zampa. Provai un dolore tremendo e chiusi gli occhi pensando che era giunta la mia fine.
Passò tanto tempo, così tanto che non ricordo. Ad un tratto due mani mi sollevarono, ma non capivo cosa stesse succedendo. Sentivo solo che mi adagiavano su qualcosa di caldo e morbido.
Poi incominciò il viaggio e mi addormentai.
Giunti ad una casa, forse quella di chi mi aveva raccolto mi svegliai e fu allora che sentii una persona che parlava ad alta voce, in modo deciso.
"Ciao Marco, ho trovato un cucciolo di volpe ferito, vieni a prenderlo perchè io non posso curarlo."
Come in lontananza sentii rispondere: "Tranquillo, domattina vengo, adesso tienilo al caldo".
Così all'alba arrivò una persona che sembrava buona e gentile, mi accarezzò, cercò di consolarmi e mi disse: "Tranquillo piccolino, adesso ci sono io".
Lungo il tragitto sentii ancora parlare: "Ciao nonna, prepara un goccio di latte, una coperta e dell'acqua fresca, ho una sorpresa."
Capii che le persone comunicavano tra loro, chissà come.
Quando arrivammo ad una casa di mattoni c'era davvero la nonna ad aspettarci.
Aveva preparato quello che Marco aveva chiesto e in più una bella cesta per mettermi dentro.
Mi curarono con tanto amore e dopo una settimana le ferite erano guarite.
Quando vedevo Marco o la nonna socchiudevo gli occhi per ringraziarli, ma facevo anche capire che avrei voluto tornare in libertà.
Così un pomeriggio, mentre il sole giocava a nascodino con le nuvole, Marco mi prese in braccio e con la nonna andammo nel bosco e qui mi lasciarono.
Loro avevano gli occhi lucidi, si capiva che avrebbero voluto tenermi ma sapevano anche che il mio desiderio di libertà era grande.
Marco mi posò in terra e mi disse: "Buona fortuna."
Mi voltai verso loro e poi di corsa nel bosco, di nuovo libero".
Terminato il racconto il volpacchiotto chiese a Florindo: "E tu cosa fai qui, piccolino?"
Florindo rispose: "Vivevo con altri gnomi, lavoravo in miniera e stavo male e loro non mi capivano, così per non essere di peso mi sono allontanato in cerca di fortuna, ma adesso non so più cosa fare. La strada è lunga, sono stanco, ho paura."
Il volpacchiotto cercò di consolarlo: "Ora ti aiuto io, se ti fidi ti porto in un giardino dove starai bene. Ti porto in quella casa dove io sono stato curato con tanto amore. Aggrappati al mio pelo e tieniti forte perché faremo una bella corsa."
Florindo ubbidì, chiuse gli occhi e…via, verso la nuova avventura.
Dopo una lunga corsa, giunsero nel giardino della nonna. Stanchi si addormentarono sotto un cespuglio di rose.
Gli abitanti del giardino, nel frattempo, avevano saputo, dal sussurrare del vento tra i rami, che Florindo era sparito e in cuor loro speravano di vederlo arrivare.
Erano in ansia perché Florindo, alto poco più di un pollice, poteva essere preso da qualche animale selvatico o cadere in acqua attraversando il torrente.
Ma il mattino dopo, mentre ripulivano le foglie rosicchiate dalle lumache, scorsero Florindo addormentato, abbracciato al volpacchiotto.
Gli abitanti del giardino, saputa la notizia, si radunarono festosi intorno a Florindo e alla volpe e qualcuno aveva in mano un dono.
Per il volpacchiotto invece era giunto il momento del ritorno.
Avrebbe voluto fermarsi, ma non poteva, doveva vivere libero nei boschi insieme ai suoi simili.
Guardò verso la casa con un po' di tristezza, mandò un bacio poi si allontanò ripromettendosi di ricordare per sempre le persone che l'avevano salvato.
La nonna racconta che talvolta, al mattino presto, sente lontano il volpacchiotto che abbaia: forse augura buona giornata ai suoi amici.
Maria Rosa Fanello.
P. S.: Il racconto si è classificato tredicesimo al concorso letterario nazionale "Una fiaba per la montagna" tenutosi lo scorso anno a Pont Canavese.
Ottimo esordio Maria Rosa! Benvenuta anche a te!
RispondiEliminaGrazie!
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