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giovedì 19 gennaio 2017

"Il miracolo di Sant'Antonio" di Annalisa Ferri.

Le impronte delle zampe della volpe nella coltre bianca della valle brillavano nella luce del sole che tra nuvole grigie e rosa resisteva al vento ed ai fiocchi di neve trasportati sparsi dal vento. 



Conducevano ad un vecchio sentiero, dove in primavera spuntano le prime viole e la sorgente sgorga senza sosta tra il volo delle farfalle. Ora il silenzio accoglie la natura che dorme infreddolita e solitaria. A far compagnia al vento gelido, giunge l'eco della potatura delle viti e degli alberi da frutto che monotona si sparge nella valle. Accanto alle fascine legate con premura da un anziano resta un gatto rosso a sonnecchiare tra gli ultimi raggi ed i vasi vuoti posti sui gradini,dove in primavera nasceranno le primule. 




Gli odori del borgo erano intensi e viaggiavano sul dorso del soffio del cielo: odore di legna, di bucato messo a stendere, di miele e zucchero per gli impasti, di anice e di vino nuovo. E di fiori, gigli bianchi, che adornavano in chiesa la nicchia di Sant'Antonio, nel giorno della sua festa. Il paese onorava il Santo protettore degli animali con preghiere e canti, con candele accese quando il buio coglieva i lavoratori nei campi e tornando in casa, entravano in chiesa, rimasta aperta quel pomeriggio e si inchinavano togliendosi il cappello.




 Attendevano tutti la notte un cui avrebbero parlato tutti gli animali, in un miracolo contadino che la tradizione voleva da secoli rinnovata. In quel momento che sapeva di magia e di mistero, i bambini restavano svegli fino a tardi affacciati alla finestra, in attesa di un sibilo, di un richiamo, di un segreto svelato da quegli animali che sembravano strani quel giorno e senza padrone. Un odore forte di incenso e di fiori circondava la grande statua dell'abate con accanto un maialino che ogni anno, la domenica seguente a questo giorno, era portato in processione. Ed in quella giornata fredda, con un sole che si ritraeva e con il buio che avanzava, il parroco aveva permesso la benedizione degli animali nelle campagne e degli uomini nella chiesa. Le donne portavano i bambini davanti alla statua, i quali mandavano baci con le loro piccole mani avvezze ai giochi o ai compiti di scuola e le nonne intonavano canti antichi, commosse, al Santo con l'aureola accesa a festa, mentre qualche fiocco ancora volava tra le stradine strette e buie. Nel tornare a casa insieme, con il vociare umano rivolto alla cena, si attendeva ancora la luna per sperare nei sussurri degli animali e nell'alba rosea per immaginare i segreti o i dispetti accordati al fattore, mentre nel vicolo della chiesa un gatto rosso curioso muoveva la coda aspettando il tramonto per dialogare col mondo.






Annalisa Ferri 



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