- Un racconto di Annalisa Ferri -
La sottile e atavica voce del grillo si era spenta nell'avanzare della notte. Dopo nottate silenziose, nella valle era tornato come un antico metronomo a scandire le ore di luna, per sussurrare dolcemente fino a spegnersi poi con i raggi chiari dell'alba. Quel piccolo animale era nascosto a recitare la sua elegia d'amore tra i fiori del prugno ed attendeva di trovare una compagna con cui cantare in estate, sperando di farlo prima dell'arrivo dell'equinozio di primavera. Per tutte le ore di imperante luna, aveva custodito e il borgo e lo aveva protetto dal silenzio che mostrava le grida degli uccelli notturni e degli animali selvatici in cerca di cibo. All'alba, il chiarore gentile che muta il cielo e rischiara il fondovalle ancora impastato di leggera foschia, il primo passero aveva tessuto un buongiorno ricamato di rime ed eco e planava sul borgo ancora addormentato, posandosi sul ciliegio quadrilustre scoppiato di fiori.
Lì, chiuso in un piumaggio nuovo, attendeva che il sole si alzasse un poco da dietro i piccoli monti preceduto dal suono delle campane che svegliavano quella gente attenta e laboriosa. Si perdeva tra i vicoli in sassi e serpenti di edera, un profumo intenso di lievito e vaniglia ed antichi liquori dei dolci pasquali dalla lunga lievitazione, che per tutta la notte avevano riposato negli ingressi delle case, coperti da teli di lino. Le donne li avevano vegliati con cura, nell'attesa che cotti avrebbero donato il loro profumo alla benedizione prima della Pasqua, posti al centro del tavolo circondati da uova e palme.
Quel tenero profumo, ricordo dell'infanzia e segno di memoria, si intrecciava all'odore buono di erba nuova e bagnata, che saliva dagli orti e dai prati. Entrava nelle case non appena venivano aperte le finestre per far entrare il sole ancora bambino e si diffondeva leggero tra il buon aroma di farina che insieme alle uova come in una piccola magia diveniva in poco tempo, prima che il giorno indorasse i vicoli nascosti, pasta fatta in casa, sottile, leggera, posta tonda sul tavolo ad asciugare. L'aria che veniva dalla valle profumata di resina e foglie nuove, la accarezzava con le sue infinite, invisibili mani, rendendola ruvida e benedicendo la mano veloce della nonna, che la sfilettava in mille fili dorati. Bolliva intanto il sugo nella pentola grande, che presagiva l'arrivo dei nipotini o di riunioni familiari o forse di amici lontani, e camminando tra le strade si leggeva il menù senza testo, tra i sapori dell'aria, diverso nelle quantità di ingredienti ma uguale perché la domenica era un rituale da menù quasi fisso. Ogni albero nell'orto era in fiore e quell'intenso odore di nettare e di fresco accarezzato da una brezza gentile si univa al bucato steso alla marsiglia ed al nuovo muschio nato sui muretti a secco.
Leggero nel cortile delle case, da anni, dondolava il rosmarino ricco di fiori viola, principe della domenica in attesa che i suoi cugini, la salvia, la maggiorana, il basilico si svegliassero dai mesi nebbiosi e freddi per speziare gli orti al tramonto ed i balconi e le cene improvvisate. Nell'attesa della messa domenicale, delle parole di conforto e di guida, il borgo aveva iniziato a vivere brulicante di occupazioni senza tempo, mentre il grillo rimasto sveglio per tutta la notte a poetare alla luna sfocata, dormiva ai piedi del borgo, nella pineta aulente di acqua e sottobosco, tra le prime foglie dell'edera aggrappata ad un tronco di pino mediterraneo, tra una nuvola di profumi diversi ed armonici, che mescolati ne davano uno solo, inconfondibile da sempre: il profumo della domenica.
- Annalisa Ferri -
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