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sabato 4 marzo 2017

Il cerchio argentato

(Daniela - Luna Nera)

- Un racconto di Annalisa Ferri -



All'imbrunire il bucato volava come quei fantasmi che nelle notti senza luna i bambini avvistavano nella rocca in pietra del borgo. Le violette nate ai piedi del muro a secco della casa erano spuntate con anticipo e vedevano quelle grosse lenzuola aprirsi sul roseto. Un antico gruppo di case in cima alla collina dalla quale da sempre saliva la luna, erano le ultime a cadere sotto l'ombra del sole che lento scendeva dietro la montagna, lasciando al buio tutta la valle.



 A guardare questi raggi che cadevano dietro gli olmi, davanti ad un camino che lento bruciava, c'era una anziana signora che un tempo fu maestra, seduta dondolando davanti alla finestra. Vedeva quel gruppo di case che vivevano ancora nel sole, divenire rosse, poi rosa e poi azzurre, mentre il grigio del fumo saliva dai comignoli brillando nella sera sotto alle prime stelle.
 Nelle strade che godevano ancora dell'ultima luce passeggiava stancamente qualche gatto, prima di tornare nella legnaia o nei fienili, mentre l'odore del bucato steso la mattina restava imprigionato nei cortili dai mattoni bicolori in attesa del profumo degli albicocchi.


L'anziana maestra, sola ormai da anni, come ogni sera aspettava quella ruota argentata tutte le sere, conoscendone la vita mensile. Aveva imparato a vederla prima sottile, quasi impercettibile, venir fuori tra sottili nubi e poi a vederla tonda, brillante,imperante, venir fuori ad illuminare le strade, i sentieri del bosco, gli orti. Quando la luna in settembre era piena, mentre le giornate divenivano più corte, si mescolava questa luce al primo odore ancora acre di uva ed al volo insistente e disordinato dei pipistrelli. Quando le notti passavano, l'anziana sapeva che diveniva testarda ed illuminava le case a piacimento con una gobba triste quando calava la luna.



Diveniva burbera, dispettosa, si nascondeva dietro le nubi e stava lì, in alto, a guardare quell'umanità con distacco finché non si lasciava morire mentre sghignazzava spaventando le lepri nelle pinete, svelando segreti sussurrandoli nelle strade notturne dietro le porte e le finestre. Per qualche giorno, forse pentita del suo comportamento, lasciava il cielo buio, abbandonava i viandanti in sentieri senza luce, mentre le candele brillavano tremando nelle case ed un senso di abbandono e solitudine copriva il borgo vecchio. Si abituavano gli uomini e le campagne a quell'assenza finché puntuale ricompariva una sera: la si vedeva sottilissima, era necessario badar bene alla coltre chiarissima del cielo per scovarla, ed era lì, serena come una bambina, ingenua come una fanciulla innamorata, che tornava a far da sfondo al volo degli uccelli. La notava il contadino che tornava a casa stanco, la notava la donna che ritirava il bucato, la ammirava la vecchia maestra e con un sorriso salutava il ritorno della luna.



Sarebbe tornata su tutte le case e nuovamente crescendo avrebbe indirizzato il fumo dei comignoli, il profumo della magnolie e dei gelsomini. Piena avrebbe reso d'argento il casolare antico, la via bianca che conduceva alla chiesa, le cime del bosco riparo dei merli e della civetta. E poi sarebbe tornata a ridere un ghigno antico mentre dimezzava la sua luce ed il suo corpo tondo fino a scomparire nuovamente urlando tra i gelsi e le felci, lasciando la natura ad un segreto buio. Finché una sera, leggera, sarebbe tornata, silenziosa e sottile ad aspettare le rondini ed i fiori del ciliegio, mentre le strade che davano sui campi iniziavano a diffondere un profumo buono di primavera.

- Annalisa Ferri -


da:  https://www.facebook.com/Lodore-del-fieno-di-giugno-1608801219439238/


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