(Daniela - Luna Nera)
- da un racconto di Annalisa Ferri -
Insieme alle ultime ombre allungate scivolavano via le stelle cadenti viste dagli innamorati distesi sui campi di fieno tagliato, tenendosi la mano, in mezzo ai grilli ed al profumo di campagna, e scivolavano i tonfi nella fontana dei bambini dopo l'ora di pranzo, dove cercavano il fresco e un gioco senza mai fine.
L'estate dura dei campi se ne andava via restando ancora per un po' imprigionata nei ricordi del cuore di chi non voleva lasciarla andare, restava nei giochi del nascondino dei ragazzi sotto la rocca del paese, in cui le case avevano i vasi pieni di gerbere e garofani,
Era rimasta così l'estate degli sguardi silenziosi, degli incontri fortuiti d'amore sotto le magnolie aperte, la notte del cuore senza confini, la notte che pareva non voler mai far spazio al giorno. Nell'eco del grillo che solitario cantava si perdeva l'estate delle marmellate e delle conserve e poi dei pomeriggi passati a cucire cantando a più voci canzoni sentite da bambini, si perdeva l'estate del primo bacio e del primo figlio, si perdeva il giorno lungo sotto al pergolato ed il profumo intenso dell'ultima rosa sbocciata.
In mezzo al mite profumo di bosco che ancora persisteva tra i rami leggeri erano aperti gli occhi che guardavano dalla finestra del casolare immerso tra i ciliegi e quell'aria d'estate entrava ed usciva dalle pupille nere, con le immagini fisse nel cuore che il tempo faceva invece scorrere impietoso. Restava nei ricordi di foto antiche, di un matrimonio negli ultimi giorni di luglio, di una messa all'aperto nel campo degli ulivi tra il volo delle rondini, il libro dell'estate che andava via, senza distogliere gli occhi da ciò che fu e che ogni anno ciascun uomo e donna del borgo speravano: e fu un arrotolarsi a ritroso di baci e di occhi, di mani antiche e fiori appena sbocciati, di piazze in festa e segreti sussurrati da dietro la tendina, di timidi sorrisi ed attese lunghissime sotto la luna piena e le rose ancora aperte, di corse tra le spighe dei campi di grano ed il traballare della statua del patrono, tra i balli in piazza ed il ricamo dei merletti.
Uno di questi, che ritraeva le rondini che volavano sopra le spighe, era posto su un tavolo davanti ad una grande finestra: e la donna che vi abitava lo poneva sempre all'inizio dell'estate per ritirarlo al canto dell'ultimo grillo. Quel lungo centrino era l'intreccio di giorni e sguardi, di battiti di cuore e di ali, di speranza e paura. E solo quando il grillo, trovata la sua compagna, smise di cantare, la donna guardò il ramo ormai silenzioso e vuoto e ripose quel merletto. Pronta a tenerlo nel cuore sperando ed aspettando di nuovo la prossima estate.
- Annalisa Ferri -
Nessun commento:
Posta un commento