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martedì 18 luglio 2017

Il fontanile di pietra



- Un racconto di Annalisa Ferri -


Nell'alba che azzurra e rosa scendeva lenta sulla strada bianca della pineta, si sentiva un bisbiglio roco, gutturale, scivolare fino ai campi dove distende i capelli al sole la cicoria nei giorni miti d'autunno e fino al mandorlo del casale abbandonato, ed entrava negli stanzini impolverati, dove di notte quell'eco restava imprigionata. Era come una preghiera in un latino impreciso, una lontana litanìa veloce, quasi dalle sillabe mangiate, che cadenzata borbottava nella valle. Coperto per anni da un muschio viscido, finché un pastore non decise di ripulirlo, il fontanile era stato costruito più di cento anni prima e portava sul suo corpo i segni della terra e dell'uomo.



Il lungo naso in ferro ricadeva su quell'acqua sempre limpida e fresca, e donava alla fontana un'espressione stanca, annoiata e nella vasca vi erano venature sottilissime, il corpo era di colori diversi di calce che negli anni era stata aggiunta per ripararlo. Nel borgo si narrava che quel fontanile, quando fu costruito, aveva un corpo di marmo bianco che brillava con i raggi del sole ed il riverbero nell'acqua indicava la via giusta ai pellegrini perduti nella pineta ed agli uccelli migratori che cercavano ristoro. Le donne, da quando fu costruito tra la gioia di tutti, lavavano i panni battendoli sulla vasca e pregavano nel maggio mariano o nei giorni di quaresima e cantavano amori di contadine in estate ed in inverno.



E fu così che il fontanile conobbe e ricordò a memoria, insieme a quei volti sorridenti provati dal sole, quelle litanìe e quelle canzoni che borbottava nella vallata. I bambini, numerosi e scalzi, in estate facevano il bagno nel vascone e gli animali delle stalle intorno si abbeveravano e così la fontana rideva e rideva per il solletico e mille bolle si vedevano venir su sulla superficie che frastagliava i raggi solari caduti tra quelle gocce ed intorno una pozza d'acqua attirava farfalle ed api e rovesciava il bianco dei radi e piccoli ciuffi di nuvole. Soprattutto in estate la sua vita era allegra: durante le feste del borgo sentiva dal mattino la musica della banda e l'odore di vino, cadevano sotto al lungo naso briciole di crostata e ciambellone, vedeva quei bambini che un tempo si tuffavano nel suo corpo diventare adulti, e ballare, innamorarsi sotto un cielo dalla luna piena. Li vedeva poi invecchiare, curvarsi su un bastone rugoso, mettere il cappello e stare a bordo della piazza divenuta pista da ballo, asciugarsi gli occhi con il fazzoletto e vedere la giovinezza trascorsa vivere ora nei propri nipoti.



La nostalgia scendeva insieme alla prima nebbia impalpabile dell'autunno, quando il sole era meno potente e salutava presto i monti e le case e sulla sua acqua limpida e fredda cadevano le foglie della quercia e galleggiavano come tante barche senza meta. Passavano lentamente i pastori con le mucche stanche e qualcuna si fermava a bere, ma non vi erano più bolle e risate, solo un sibilo leggero, un filo sottile usciva da quel naso di ferro che sembrava chiamare, chi passasse davanti senza voltarsi, a guardare la fontana ormai vecchia. Anche in primavera il fontanile non rideva più: i fiori profumati del mandorlo non bastavano a colorare di bianco la sua acqua e né le rondini che volavano sopra di essa a farla sorridere. Le vedeva capovolte nel riflesso che donava di loro, eppure stava lì, immobile, a guardare il bosco che era stato muto in mezzo al gelo, tornare verde dopo il grigiore dell'inverno e le grandi nevicate. Fu proprio a causa del gelo e del ghiaccio spesso che un inverno rigido portò con sé, che il suo corpo si spaccò e cadde in più punti quel marmo bianchissimo che brillava come stelle e lungamente rimase imperfetto.



Solo prima della Pasqua il fontanile venne accomodato, con la calce a coprire le rotture e poi il muschio venne a fargli compagnia insieme all'odore di funghi . Si vergognava di non essere più splendente, liscio come un tempo e quasi la vecchiaia del borgo, con l'edera che si arrampicava e copriva la rocca per prima illuminata dal sole al mattino e le persiane sbiadite, contagiò la sua anima marmorea e negli anni quel borbottio divenne quasi stanco, come una cantilena vigorosa, che rimbombava di luogo in luogo. Passando tra le vie, correndo nella notte ed urlando ai pipistrelli, i ragazzi si fermavano sempre, ancora, alla fontana che ormai stanca dava da bere con gli occhi socchiusi, senza più guardare quei volti che sarebbero divenuti grandi e poi vecchi.



Un giorno di piena estate, caldissimo e luminoso, qualcuno disse che la fontana chiuse gli occhi per sempre, in un sonno lungo e nel rumore dell'acqua che continuava a scendere precisa e fresca, limpida e costante, lei brillò di nuovo come un tempo e mille bambini muovevano le braccia dentro di lei, in un tripudio di schizzi, luccichio e bolle.


- Annalisa Ferri -

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