(Daniela)
Il mio viso spiaccicato al vetro della finestra, più che il viso era il naso che mi doleva, guardavo la pioggia che con forza e rabbia cadeva dal cielo sospinta dal vento.
Attaccato a un ramo vidi un sottile velo azzurro che s’era impigliato, stupito e meravigliato mi domandai a chi appartenesse e com’era volato fin li.
Mi balenò un pensiero nella mente, (e se appartenesse ad un Angelo?), ma cosa andavo pensando, perché un Angelo sarebbe sceso sulla terra? Forse l’aveva mandato Dio in aiuto di qualcuno? Qui da me il paese è piccolo e ci conosciamo tutti benissimo, e che io sappia nessuno aveva bisogno di un Angelo.
La pioggia non dava segno di calmarsi, anzi al già brutto tempo si aggiunsero lampi e tuoni, la sera era ormai scesa anche se sembrava già notte dalle prime ore del mattino.
Indossai il pigiama e andai a letto, dalle imposte mal chiuse i lampi entravano nella mia camera illuminandola come se l’occhio di Dio volesse vedermi da vicino, e urlarmi nelle orecchie con il gran vociare del tuono. A dire il vero mi entrò il freddo e incominciai a tremare pensando se fosse stato vero quel mio pensiero.
Quella notte sognai tante colombe bianche che volteggiavano nel cielo, ed io le vedevo come Angeli che giocavano a nascondino dietro a nuvole bianche, Angeli creature celestiali a me tanto care.
Al mattino, quando il primo raggio di sole fece capolino nella mia camera, destandomi, il bel sogno svanì. Corsi subito alla finestra della cucina per vedere se c’era ancora quel pezzo di velo… no! Non c’era più, forse il forte vento l’aveva portato via.
Al mattino, quando il primo raggio di sole fece capolino nella mia camera, destandomi, il bel sogno svanì. Corsi subito alla finestra della cucina per vedere se c’era ancora quel pezzo di velo… no! Non c’era più, forse il forte vento l’aveva portato via.
Mi chiesi: “Chi sa se il buon Dio avrà sgridato quell’Angelo per essersi strappata la veste, ma no, Dio è amore, Dio è perdono e come tale gli avrà sorriso e riparato quello strappo."
Una volta fatto colazione, vestito, uscii di casa come tutte le mattine per andare a scuola. Meno male che il brutto tempo era passato e il sole con il suo bel cerchio dorato infondeva calore a tutto e tutti. Così arrivai a scuola, e con mio stupore quando entrò il prete per la lezione di religione ci parlò degli Angeli. Mentre il prete ci spiegava quale era il loro compito, io incominciai a fantasticare e già mi vedevo in quelle azzurre praterie celesti svolazzare per mano a loro, e mi sentivo leggero come una piuma, e il mio corpo traspariva tanto da vedervi attraverso.
Caduto come dalle nuvole, dissi: “Sono creature meravigliose” senza sapere a cosa dovevo rispondere; lui accennò un sorriso e mi disse: “Seduto”, mentre nel frattempo suonò la campanella, segnando la fine delle lezioni e della scuola per quel giorno.
Nel ritornare a casa, non percorrevo una strada, ma bensì un sentiero che attraversava la campagna; l’aria era fresca ma non fredda, il cinguettio degli uccelli accompagnavano i miei passi, ed io mi sentivo felice, non so perché, ma ero felice.
Mi prese tra le sue braccia e mi diede un bacio, ed entrammo in casa. La tavola era apparecchiata, e ognuno era seduto al suo posto, mancavamo solo io e la MAMMA; a pranzo finito io mi alzai per primo ed andai nel giardino. Lì mi sentivo un Re, nessuno mi avrebbe guardato o fatto domande a cui non avrei saputo dare risposta o non volevo darle.
Le ore passavano, ed era ora di riporre la fantasia e di incominciare a fare i compiti. Il sole ben presto sarebbe andato a letto, e la sera senza fretta stava salendo, cosi un altro giorno stava morendo.
La MAMMA seduta al tavolo rammendava i miei strappi, e tra uno e l’altro preparava la cena. Io leggevo un libro di favole, e non osavo andare nell’ingresso o nelle altre stanze, perché da un po’ di tempo mi sentivo chiamare da voci, e poi vedevo ombre volteggiare su nude pareti dall’aspetto D’Angeli, e tutto questo mi metteva paura. Da allora di sera restavo sempre in cucina con la MAMMA.
Piano, piano, ripresi a muovermi e a parlare, tale da indurre mia MAMMA a dirmi “Luigi con chi parli?” con L’Angelo” risposi, Ella, credendo che giocassi, disse: “va bene”. Da quella sera non ebbi più paura e, tutte le sere, andavo a parlare e a giocare con il mio Angelo.
- Luigi Calloni -
Bella!E' difficile pensare alla sofferenza di un bimbo che vive una situazione familiare non molto serena, questa favola sensibilizza a prestare attenzione ai piccoli che si trovano in condizioni disagiate e che trovano sempre il modo di crearsi un qualche ''appiglio'' più o meno fantastico
RispondiEliminaGrazie del tuo commento Marianna, qui la situazione è un po' diversa, se clicchi sul link in fondo al post vedi chi ha scritto questo bel racconto, una persona davvero speciale... per questo ti spiegherai i pensieri della mamma...Un caro saluto! Daniela (Luna Nera)
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