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lunedì 30 aprile 2018

Il pergolato di glicine

(Daniela)
- Un racconto di Annalisa Ferri -




Erano legati i batacchi delle campane delle due chiese del paese. Quella più antica, con grosse finestre altissime attendeva il momento della resurrezione accanto alla rocca sulla quale volavano le rondini fino al tramonto e scambiavano la grande postazione della finestrella ad arco con una famiglia di grifoni. La chiesa più giovane, circondata di ulivi, ascoltava il vento che sulla staccionata suonava melodia di oboe e flauti accompagnato dal nitrito di giovani puledri che nei campi vicini pascolavano senza posa.



 Il paese si preparava al rito della via Crucis immerso nella primavera, fra i luppoli nati all'ombra dell'edera e nella quiete di un tempo lontano. Un'anziana donna che viveva in una grande casa nel mezzo del paese, aveva finito di cuocere le pizze pasquali dalla lunga lievitazione, perché poi, nel momento in cui il Cristo si concedeva al Padre, i lieviti non potevano essere messi a cuocere. Nella sua sala da pranzo che dava sul bosco pieno di riflessi d'oro e di diverse tonalità di verde, aveva posto in fila una decina di pizze gonfie e profumate, coperte ora da teli con ricamate le sue iniziali.



Ogni tanto si recava nella stanza con le tende tirate quasi a far davvero riposare quei gonfi palloni. La casa era imbevuta di profumo che si univa a quello delle begonie appena innaffiate ed a quello intenso del glicine sbocciato. Vi era infatti nel cortile un pergolato che da anni faceva ombra alle giornate ed era la prima pianta a ricevere la luce del sole e l'ultima a lasciarla, quando si abbassava tra il bosco e solo il picchio ogni tanto ciarlava.



 Quando in autunno i fiori e le foglie cadevano, il tino mandava in alto il profumo di mosto e faceva tornare quel viola perduto. In estate invece il glicine riparava le ricamatrici, accoglieva i sospiri delle ragazze intente nella lettura e vegliava i sonni del gatto bianco e nero. Tra glicine dolce in primavera si nascondevano le farfalle innamorate e le api rubavano il nettare melenso, curiose, spiavano quell'amore che durava un giorno, l'unico della loro vita. Mentre espandeva per le vie quel dolce soffio come dono silenzioso, nel paese si preparava il piccolo altare per la processione della via Crucis che al tramonto avrebbe coinvolto tutte le case:



ogni vicolo nascosto si trasformava in una delle quattordici stazioni che la comunità avrebbe rivissuto tra vasi di fiori posti accanto a candele e torce fumanti, fino a giungere davanti a quel glicine umile, che guardava vergognoso del male in basso, capovolto come morì Pietro. Composto, il paese in fila pregava dopo il canto nella messa dei Vespri dell'Agnus Dei e dopo la processione la luna alta nel cielo mostrava il suo volto rotondo e color cenere, mentre in silenzio il paese si chiudeva nelle case a pregare ed il bosco illuminato di luce mesta vegliava mormorando sulla vallata argentata e sconfinata nell'eco di un lontano sussurro. A questa piangendo rispondeva il glicine che cantava solitario i canti della passione ed attendeva la resurrezione nel luccichio della prima rugiada posata sui suoi occhi viola nell'alba.



- Annalisa Ferri - 



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