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mercoledì 3 ottobre 2018

La nonna

(Daniela - Luna Nera)




Dall'altra parte del mare
Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.
Nonna tu nei cortili dell’estate, già alzata all’alba, 
sola ad aprire imposte e ricevere il sole,
accompagnando la febbre dei miei ultimi sogni
con lo strofinio appena udibile dei tuoi passi, 
entrando dalla parte del giorno a restituirmi il mondo 
nella fragranza del caffellatte.
Non dimentico nulla, io crebbi sulla sponda della tua vestaglia
e dei tuoi scialletti, del tuo gusto per il lilla
che ti fa come una cenere di colombe fra i capelli e le guance,
e sento un’altra volta il soave andare delle pantofole che ti portai dal Cile.
E sto vedendo la lunghissima treccia che tu lasci libera
quando ti alzi, come un ricordo dei tuoi anni di ragazza.
Tu non lo sai, nonna, però in te finisce il tempo, la successione 
dei giorni e delle spiagge, delle aule e dei pianti, dell’amore nei suoi mille specchi, 
dell’uomo e del bambino che riconciliano le loro distanze nei tuoi occhi, oh paese della pace.
Ti vedo e sono piccolo e sono proprio io, e niente impedisce che il piccolo e l’uomo ti diano 
lo stesso bacio e si rifugino nel tuo abbraccio. 
Questi capelli che tu accarezzi e che pettinasti per la prima volta, questa fronte che stai baciando e che lavasti 
dal sudore della nascita, queste mani che vanno per il mondo palpando i suoi bei vuoti, e che guidasti nel primo 
incontro con il cucchiaio e la palla,
tornano al posto del riposo, e non se ne vanno, nonna,
sebbene io viva alzato verso tante rotte, e non se ne vanno, nonna.
La nonna spunta con il giorno a visitare l’orto e le galline
spartisce l’acqua e il mais, ammira i pomodori e i loro progressi,
e gode del racemo che si inerpica, del lampadario delle prugne regine claudie,
e va per le profondità della casa distribuendo l’ordine.
A volte mi alzo, l’accompagno e, associato ai suoi riti, do da 
mangiare agli uccelli e irrigo le veccie, sento il tremito dell’acqua sui rampicanti che bucano i muri e 
che la ricevono crepitando e si riempiono di scintille.
Ho dieci anni, vivo insieme ai bruchi e alle anatre, sono tenero e crudele,
ammazzo e proteggo, ordino come un re le cose del mio regno,
e sopra di me sta la nonna, le arrivo già all’altezza delle spalle, sulla punta dei piedi arrivo a baciarla,
e i nostri occhi si scoprono nell’allegria comune dei polli nati durante la notte.


Il nostro giardino durò quanto l’infanzia. Né tu né io lo dimenticheremo,
nonnina.Non dimenticheremo il sapore delle pesche bianche,
delle barbabietole, delle zucche incendiate.
Fu il tempo del riso al latte coperto di cannella, 
del piacere delle pannocchie sulla tavola tesa sotto i pergolati.
Stai nella cucina in penombra, con i glicini alla porta,
e curi le cadenze delle bacinelle di gelatina,
le marmellate invernali che ordinerai nella credenza.
Io sto lì, con Giulio Verne e una botta al ginocchio,
felice, guardandoti, sicuro che niente potrà mai accadermi, 
che in mezzo al mare o all’assalto del polo con il 
capitano Hatteras, o appeso al cielo con Michel Ardan,
tu mi tieni con te, vicino al fornello da cui l’aroma
inzuccherato cresce come un soave vulcano dipinto a lapis.
Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.


E non solo ieri, nonna. A ogni svolta stai lì, piccola
sotto l’architrave, imbacuccata nella tua vecchiezza
senza macchia, 
nella tua piccola salute,
e ogni volta che mi trae da porte e passi e uomini,
io so che tu stai lì. E che il tuo amore senza altra causa che se stesso
ci sostiene nella notte e ci restituisce l’alba dell’incontro,
e il tempo gira la testa e ci accetta interi,
con il bambino che piange tra le tue braccia,
con il viaggiatore che si lava della polvere nel tuo sorriso,
con la giovane nonna che corre in mezzo alla neve per rallegrare il nipote,
con questa vecchietta che sostiene sulla soglia la lampada del benvenuto.
E il primo che muoia sappia che niente muore
e che la perfezione regnò nel suo giorno.

- Julio Cortazar -

- da: "Le ragioni della collera" (1995) -

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