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venerdì 19 aprile 2019

Lo spaventapasseri della Settimana Santa

(Daniela - Luna Nera)


- da "Racconti di campagna" di Annalisa Ferri -


Come ogni anno, il contadino, prima che sorgesse il sole, poneva in mezzo al suo orto, un vecchio spaventapasseri, che da anni le generazioni della sua famiglia, avevano tramandato ai nuovi, per scandire il lento passare dei mesi e delle stagioni e della vita.
Lo poneva con cura, sistemando il vestito di juta, come fosse un bambino obbediente al primo giorno di scuola, nei giorni della Settimana Santa, quando nel borgo vi era il silenzio della penitenza, del perdono laddove vecchie contese tra vicini erano ancora in piedi, terminati ora, con la scusa di portare un esile ramo di ulivo che straordinariamente sapeva di pace.



Erano quelli i giorni delle croci. Le croci sul pane, segnate col dito e messo a lievitare e cuocere prima del giovedì Santo.
Le croci segnate al passaggio davanti alla Chiesa e davanti ai sepolcri, fatti crescere in silenzio nei luoghi bui da mesi.
E croci, ancora, al suono delle campane la sera del mercoledì, quando le rondini volavano nel cielo rosa e grigio a cercare spazi di azzurro prima di lasciare alla luna quasi piena il regno dei pensieri .



E la croce che sovrastava il paese, in quei giorni assumeva un ruolo di monito e perdono, e sembrava austera, diversa, seppur fosse come sempre lì, all'ombra dei meli nella piccola piazza in alto e guardava le case che si ripopolavano pian piano, per coloro che tornavano dalla città. La croce era quella che la perpetua segnava ad ogni battito di orologio e mentre cuciva il manto rosso per la Via Crucis del venerdì, lungo le vie del paese, pensava a quando da bambina correva nei vicoli che profumavano di dolci, di lievito di preghiere e scovava nelle case le lunghe chiome bianche dei sepolcri, nascosti nelle cantine e che sembravano anziane donne a testa in giù, pronte a mostrare gli occhi appena i più piccoli si fossero avvicinati.



 Ricordava il forte odore di pane nelle piccole strade, ora come allora, ed il suono del campanello delle greggi che tornavano di fretta alle stalle e che si mescolava con il suono della fontana che quando usciva il sole tornava a brillare. In lontananza si sentivano i tuoni di temporali che avevano bagnati paesi vicini e l'aria profumava di terra umida e di acqua di aprile. La perpetua, mentre cuciva il manto, cercava con gli occhi, in mezzo al campo di grano davanti la Chiesa, ora basso e verdissimo, un vecchio spaventapasseri che ricordava aver visto da bambina, dal cappello grande di paglia, le mani larghe che tenevano rumorosi fili d'argento e che il vento agitava.



Ricordava che anche lei, come ora accadeva, prima di tornare a casa correva nel campo sterminato e vedeva sorridendo che anche in quel giorno tutti i bambini la sera prima di rincasare, passavano a salutarlo, come lei in estate quando, in mezzo ai grilli che cantavano lasciava i fiori della borragine ed i papaveri ai suoi piedi, come doni all'amico speciale. Lo trovò muovere le mani in mezzo al campo, guardare verso la collina dove il sole tramontava e forse sorridere a quel vento che lo faceva sentire vivo, in mezzo ai voli delle rondini che lo sfioravano per vedere da vicino se avesse su quella bocca un ghigno o un sorriso.



Come ogni anno, il vecchio pupazzo, aveva passato l'inverno nel fienile, posto sotto ad un lucernaio dal quale aveva visto il cielo girare, la neve cadere copiosa e sentito i lupi ululare quando scendevano vicino la vallata, poi la nuova luna portare di nuovo le rondini. Era abituato a sopportare il sole cocente dell'estate, quando il grano poi maturava e veniva tagliato ed allora restava lì,



 solitario, e vedeva il bosco perdere le foglie, tingersi di infiniti colori della terra in ogni sfumatura, sentiva l'odore del mosto ed i canti del contadino che raccoglieva le mele ed i cachi e li portava a casa mentre le rondini, voltandosi un'ultima volta nell'ultima sera, andavano via. Aveva visto amori nascere nelle sere più buie di un'estate lunghissima, ricordava nei volti di uomini anziani, quei bambini che restavano fermi davanti a lui a guardarlo incuriositi ed alcuni seppur cresciuti tornavano davanti a lui, a render conto della loro vita, di ciò che avevano realizzato e dei dolori in cui avevano fallito.



 Qualcuno andava a chiedere consiglio a quella grande faccia sbiadita dai temporali estivi sotto cui piegando un po' la testa aveva vissuto e poi sotto un sole feroce, il giorno seguente.
Lo spaventapasseri aveva visto lo spettacolo delle lucciole che danzavano a notte fonda intorno a lui, quasi fossero tante scintille del fuoco, come quelli che nella sera dell'ascensione lui vedeva nei paesi vicini e sentiva la musica in lontananza, l'eco della banda e la luce dei fuochi d'artificio nelle feste del Patrono. Veniva poi riposto quando la nebbia circondava i dintorni e le vigne erano vuote, tornava al caldo nel fienile e lo svegliava davanti alla fessura del lucernaio il sole di novembre e poi ogni giorno fino al nuovo momento della primavera. Ed ora in quel nuovo anno, quando le campane del mercoledì Santo segnarono l'ora delle preghiere, forse per il vento o forse per devozione, la perpetua lo vide abbassare la testa in segno di rispetto e penitenza e chiudere gli occhi onorando i giorni silenziosi del borgo antico che all'unisono, una casa accanto all'altra, si addormentava.


- Annalisa Ferri -

(da:  https://www.facebook.com/Lodore-del-fieno-di-giugno-1608801219439238/)

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